Ecco l'articolo apparso su "Il
Tirreno", del 19 febbraio 1998.
ALTOPASCIO - "Tu sali sulla scialuppa, io torno più tardi". Un bacio tenero, un
abbraccio tra le lacrime. E poi fu solo buio e acque gelide dell'Atlantico
tutto intorno. Così Argene Genovesi, sposata da poco con Sebastiano Del
Carlo, rimase vedova a pochi mesi dal matrimonio. Nella notte tra il 14 ed
il 15 aprile 1912 i coniugi Del Carlo, lucchesi, erano a bordo del
TITANIC in viaggio verso l'America alla ricerca di un futuro migliore.
In realtà erano già in tre, perché Argene portava in grembo quella che
qualche mese più tardi decise di battezzare Salvata in memoria di quella
tragica notte. Sebastiano Del Carlo però non ha mai conosciuto sua figlia:
morì nell'affondamento del transatlantico, dopo avere aiutato la moglie a
salire sulla scialuppa di salvataggio. "Vai tranquilla, presto ci rivedremo"
le disse stringendosela al petto. Poi la scialuppa calò in acqua scomparendo
nel buio. Quella bimba, che doveva ancora nascere, è oggi un'arzilla signora
di 86 anni. Si chiama Salvata Del Carlo ed abita con il figlio Sabatino
Triboli di 57 anni, la nuora Giuseppina Benvenuti e la nipote Graziella ad Altopascio. Salvata compirà 86 anni il 14 novembre, ma è ancora lucida e
racconta volentieri la storia dei suoi genitori di cui lei è stata indiretta
protagonista. "Ho vissuto tutta la tragedia inconsciamente nel grembo
materno - racconta la donna - e solo quando sono stata più grande mia madre
cominciò a raccontarmi la storia d'amore con il papà e la sua morte nel
naufragio. Una vicenda felice, finché la tragedia del transatlantico non la
spezzò". Sebastiano Del Carlo abitava alla Badia e, come molti altri giovani
della piana lucchese, all'età di 18 anni era partito alla volta dell'America
in cerca di fortuna. "La mamma non mi ha mai detto in che parte degli Stati
Uniti vivesse il babbo - racconta la signora Salvata - e che tipo di
mestiere facesse. Ma sicuramente faceva un lavoro ben retribuito perché in
dieci anni tornò in Italia ben cinque volte. E nel suo penultimo viaggio
venne apposta ad Altopascio per sposarsi con mia madre". Argene e Sebastiano
avevano tutti e due 24 anni, e tutti e due abitavano alla Badia sui lati
opposti della stessa strada. "Papà era un tipo romantico e scriveva spesso
alla sua Argene. Un giorno le spedì questi versi: "Cartolina mia, vai
nell'Italia, quando da Argene arriverai un bacio per me le porterai".
Sebastiano Del Carlo tornò dall'America per fidanzarsi con la futura sposa
che conosceva solo di vista, perché i due non si erano mai frequentati.
L'incontro ufficiale fu stabilito per il 20 gennaio del 1912 in occasione
della festa di San Sebastiano, che tra l'altro è il patrono di Badia. "Fu la
prima giornata che trascorsero insieme: un giorno di grande festa, con la
presentazione tra le famiglie e tutto il resto. "Vista e presa" mi diceva
sempre mamma quando mi parlava del fidanzamento". Fu il classico colpo di
fulmine, nel giro di poche settimane si sposarono e decisero di emigrare
negli Stati Uniti, probabilmente per raggiungere le sorelle di Argene che
vivevano in California. "Erano così felici che non stavano più nella pelle
dalla gioia di partire. Papà andava spesso a Lucca all'agenzia di viaggi per
fare le prenotazioni sulla nave, ma le richieste erano così tante che non
riuscì a trovare posto su un bastimento che facesse la linea Genova-New
York. Finché un giorno tornò a casa entusiasta e disse a mia nonna Ginevra:
"Sulla nave che dovevamo prendere non c'era più posto, ma partiremo
ugualmente con un'altra. Raggiungeremo da Genova l'Inghilterra e da lì
faremo la traversata con il TITANIC che fa il suo viaggio inaugurale.
Sarà una cosa bellissima. Ho prenotato una cabina in prima classe, così
Argene, che è incinta, starà più comoda". Ma la nonna non era così
ottimista, quasi presagisse il pericolo". "Mamma ha sempre voluto parlare
poco del viaggio, per non riaprire la dolorosa piaga del naufragio, ma ogni
tanto si lasciava sfuggire qualche breve racconto. Era una nave bellissima,
mi diceva: a bordo la gente era felice. Nei saloni si svolgevano grandi
feste da ballo, a cui però mia madre non partecipava perché a causa della
gravidanza stava sempre in cabina. Mio padre no, a lui piaceva andare in
giro per la nave". Finché il piroscafo non urtò contro quell'iceberg
maledetto. "All'una di notte del 14 aprile, mia madre udì un gran rumore.
Nel frattempo mio padre era sceso in cabina, ma non si era reso conto di
quello che stava accadendo. La mamma spaventata gli chiese se aveva sentito
il boato e lo invitò ad andare a vedere. Dopo poco il babbo tornò di corsa:
"Argene, corri, bisogna fuggire". Riuscirono a raggiungere il ponte
superiore della nave facendosi largo a fatica tra gente che scappava ed
urlava". "L'equipaggio invitava le donne ed i bambini a salire sulle
scialuppe di salvataggio. Il babbo prese la mamma in collo, la strinse forte
a sé: "Vai tranquilla, presto ci rivedremo". Fu l'ultima volta che lo vide
vivo. La mattina dopo la scialuppa dove lei si trovava fu avvistata da una
nave di soccorso, e tutti furono tratti in salvo e portati a New York. Mamma
fu ospitata per due mesi in un convento di suore a New York: la trattavano
benissimo, addirittura volevano che restasse in America e che io nascessi
là. Ma lei decise di tornare in Italia e in luglio ripartì. Sulla nave c'era
anche la salma di papà che venne sepolto nel cimitero di Badia. Sulla tomba
fu incisa un'epigrafe in versi che parlava dell'affondamento del TITANIC.
Il 14 novembre mamma, tornata a vivere con i genitori, mi dette alla luce e
mi battezzò Salvata". |