I passeggeri del TITANIC
morirono d'ipotermia,
non per annegamento: la maggior parte di essi che avevano indosso il giubbotto
di salvataggio avrebbe potuto essere salvata. I marinai della Carpathia,
giunti sui luoghi un'ora e cinquanta minuti dopo il naufragio, portarono aiuto
soltanto alle persone nelle scialuppe di salvataggio ed abbandonarono al
loro destino, dando per scontato che fossero morti, tutti i passeggeri che
si trovavano nell'oceano (ad una temperatura di meno 2,2 gradi centigradi)
anche se la loro testa affiorava dall'acqua.
Come mai questo gigante dei mari, frutto del "know-how" dell'epoca,
ha potuto affondare? In altre pagine del sito ho accennato qua e là
ad alcune delle principali cause della tragedia: condizioni meteorologiche,
difetti di progettazione e costruzione, condizioni di navigazione rischiose,
errori e negligenza dell'equipaggio. Vediamo di farne una rapida sintesi:
a) l'inverno del 1912 fu di una calma eccezionale nei mari polari: numerose
banchise si staccarono dai ghiacciai della Groenlandia, facendo deriva verso
sud, a latitudini normalmente basse;
b) gli operatori radiofonici non trasmisero tempestivamente agli ufficiali,
tutti i messaggi che segnalarono la presenza di iceberg sulla rotta;
c) la velocità del TITANIC fu troppo elevata per
quella zona di mare considerata pericolosa. A quella velocità, una nave
di 270 metri e 46.000 tonnellate non poteva virare in meno di 500 metri
e, a 22 nodi di velocità, ciò richiese oltre
un miglio e mezzo per fermarsi!
d) il mare fu troppo calmo per permettere di vedere l'iceberg con anticipo,
poiché nelle normali condizioni, il vento sul mare causa alcune frange
di schiuma sul bordo degli iceberg e ciò li rende visibili a distanza;
e) le vedette non ebbero i binocoli di sorveglianza;
f) il tempo di reazione del TITANIC, tra il comando della
barra e la manovra della nave fu troppo lungo (35 secondi);
g) le divisioni trasversali che separarono i compartimenti stagni non
furono abbastanza alte e ciò permise all'acqua di passare da un
compartimento all'altro;
h) la capacità delle scialuppe di salvataggio (20 barche che poterono
contenere 1178 posti) fu molto inferiore al numero di passeggeri (2223);
i) la maggior parte del personale di bordo fu reclutata poco tempo
prima della partenza e fu insufficientemente addestrata a gestire una
situazione d'emergenza;
l) le prime scialuppe di salvataggio partirono quasi vuote;
m) numerose porte della terza classe furono chiuse a chiave e queste erano
conservate dagli uomini dell'equipaggio, che erano armati;
n) il punto nave comunicato dal TITANIC fu inesatto;
o) la struttura della nave era troppo fragile tra il terzo ed il quarto
fumaiolo: fu questa la zona dove si era prodotta la rottura della
nave in due tronconi;
p) l'acciaio utilizzato per realizzare le lamiere della carena (25,4 mm di
spessore) ed i rivetti di collegamento fu di qualità mediocre ed assai
fragile alle basse temperature.
Ma un dettaglio è sfuggito ai più: come mai la nave più
grande ed inaffondabile, concepita e disegnata per resistere 72 ore alla
peggiore delle catastrofi, andò a fondo in meno di tre ore? Si
sa che, in occasione della collisione con l'iceberg, lo speronamento di
quest'ultimo sul lato tribordo del TITANIC causò
l'inghiottimento dell'acqua di mare nelle strutture basse della nave. Due
fattori furono messi sotto accusa: le lamiere che componevano la murata
della nave ed i rivetti d'assemblaggio.
Ma quali furono i colpevoli: le lamiere, i rivetti, o tutti e due?
In occasione delle immersioni effettuate sul relitto dal 1996, si osservò,
grazie ad un sonar, che non ci furono né fratture né squarci
nella nave. Oggetto dell'attenzione, le sei aperture laterali sul
lato tribordo del TITANIC. Queste aperture, che vennero
a contatto con l'iceberg, mostravano in realtà che i giunti tra le
lamiere erano saltati. Vennero recuperati anche dei resti dei rivetti, che furono strappati
dalla murata, poiché la loro parte appiattita era scomparsa. |
Questi rivetti furono affidati al Dott. Timothy Foecke, americano, esperto di metallurgia del Laboratorio di Scienze e Tecniche dei materiali dell'Istituto
Nazionale di Tecnologia (l'Institut National of Tecnology, organismo governativo
americano, con sede a Gaithersburg, Maryland). Il Dott. Foecke studiò
la loro struttura e la loro composizione utilizzando mezzi d'analisi sofisticati:
metallografia microscopica, spettrografia ai raggi gamma e reazioni chimiche
di superficie.
I risultati furono stupefacenti. I rivetti contenevano impurità che
derivava dalle scorie di fusione: una debole percentuale di scorie è necessaria e, in compenso,
un eccesso di scorie rendeva il ferro fragile e facilmente soggetto alle rotture.
I rivetti normali contenevano il 2% di scorie, i rivetti analizzati ne contenevano,
viceversa, in media il 9,3% (19 rivetti su 48 analizzati presentavano un
eccesso di scorie, di cui qualcuno addirittura con un tasso del 17%!).
Il taglio trasversale di un rivetto mostrò che le scorie erano distribuite
su tutta la lunghezza e che il filo (ossia la direzione delle fibre) girava
ad angolo retto rispetto all'asse del gambo, e ciò costituiva una
zona di grande fragilità. Questi risultati dimostrarono che l'impatto
dell'iceberg non causò rotture sul lato tribordo della nave come
si è a lungo pensato, ma probabilmente fece saltare i rivetti
strutturalmente fragili. Per l'effetto "bastone a leva" in occasione
della ribattitura a mano della murata del TITANIC, ogni
rivetto, fu appiattito con la martellata; nel caso in cui il colpo
di martello fosse stato troppo violento, la parte appiattita diventò assai
debole. In occasione dell'impatto, l'iceberg dapprima piegò
una lamiera, che a sua volta piegata agì come una leva sui rivetti,
e così le altre lamiere. |
La costruzione del TITANIC necessitò di tre milioni di rivetti che
pesarono complessivamente circa 1200 tonnellate. Il doppio fondo era costituito di lamiere
di acciaio assemblate per mezzo di ribattitrici idrauliche che pesavano
ciascuna 7 tonnellate ed erano sospese alle gru scorrevoli.
Al di sotto del doppio scafo, la murata fu composta da un insieme di lamiere
di acciaio generalmente larghe 1,83 metri, lunghe circa 9,14 metri,
spesse circa 2,54 centimetri e pesanti dalle 2,5 alle 3 tonnellate secondo
lo spessore.
Queste
placche, quelle che entrarono in contatto con l'iceberg, erano state fissate con
una ribattitura manuale a doppia o a triplice riga. I rivetti di acciaio
misuravano 2,5 centimetri di diametro per 7,5 centimetri di lunghezza. |
Alcuni operai furono incaricati di perforare i buchi necessari in tutte le
parti metalliche della nave, in particolare nelle placche di murata. Le
placche potevano essere bucate anche in anticipo in laboratorio per mezzo
di speciali trapani, ma la perforazione sul cantiere garantiva una maggiore
rifinitura dei fori sulle placche da assemblare.
La ribattitura di queste lastre d'acciaio fu effettuata da squadre
composte da almeno cinque operai.
Un operaio scaldava il rivetto in un braciere poi, con l'aiuto di pinze,
un altro operaio lo recuperava e lo porgeva a due addetti alla ribattitura.
Qui il rivetto veniva introdotto in uno dei buchi realizzati nella carena
della nave. Raffreddando, il rivetto stringeva le due placche con una forza
considerevole. L'impermeabilità fu assicurata dalla estrema vicinanza
dei rivetti.
A ribattitura finita, degli operai furono incaricati di contare i rivetti
posti per assicurarsi che tutti i rivetti previsti dai piani erano stati
fissati. |